ATTENZIONE SPOILER MEDI

Silent Hill è sempre stato molto più di un semplice “mostro nella nebbia”. Nei suoi momenti migliori, la serie ha saputo scavare nei traumi più profondi, personali e collettivi, intrecciando l’horror psicologico con incubi soprannaturali. Con Silent Hill F, il franchise compie il suo passo più audace: abbandona la nebbiosa cittadina americana per immergersi nel Giappone degli anni ’60.
Quella che poteva sembrare una reinvenzione rischiosa si rivela invece una nuova, sorprendentemente solida diramazione della serie. Il gioco bilancia l’atmosfera inquietante che ha reso celebre il franchise con una narrazione radicata nel folklore giapponese, nella storia culturale e nelle dolorose tensioni tra aspettative familiari e sociali.


Al centro di Silent Hill F c’è Hinako, un’adolescente intrappolata nelle soffocanti aspettative della sua famiglia e della sua comunità. La sua vicenda affronta temi raramente esplorati con tale franchezza nei videogiochi horror ad alto budget. La narrazione non si nasconde dietro metafore: la critica ai matrimoni combinati è tagliente, mostrando come il destino di Hinako sia dettato non dai suoi desideri, ma dalle tradizioni e dalle ambizioni dei genitori.
In molte culture asiatiche, queste aspettative hanno avuto un peso enorme, e Silent Hill F ci costringe a convivere con la paura e l’isolamento che derivano dall’essere trattati come oggetti da donare. Personalmente, in quanto uomo non asiatico, non posso dire che questa narrazione mi abbia colpito nel profondo per immedesimazione diretta. Ma amo il cinema. Da sempre. E il potere del cinema — e della narrazione in generale — è proprio quello di farci dimenticare noi stessi, di estraniarci per permetterci di entrare in empatia con realtà lontane. Senza voler peccare di presunzione o filosofeggiare, posso dire che questa è una storia che comprendo appieno. Ricordiamoci tutti che stiamo parlando di un’altra società, un’altra cultura, un’altra epoca.
Il gioco esplora anche la violenza domestica e quella sui minori, in modo particolarmente disturbante nei rapporti tra Hinako, suo padre e i suoi genitori nel complesso. Non si tratta di caricature del male, ma di rappresentazioni spaventosamente credibili di come la violenza possa annidarsi in famiglie che antepongono l’apparenza alla compassione.
È una storia matura, spesso difficile da seguire, ma che rende gli orrori soprannaturali ancora più incisivi: i mostri sembrano manifestazioni tangibili di un terrore umano profondamente reale.


Uno degli elementi più distintivi di Silent Hill F è l’integrazione del folklore giapponese. La volpe, legata alla divinità shintoista Inari — associata a riso, prosperità e protezione — appare in tutto il gioco. Ma nel mondo contorto e fungino di Silent Hill F, la volpe assume un duplice ruolo: guida e presagio di distruzione.
Questa tensione simbolica tra salvezza e corruzione è perfetta per Silent Hill. La volpe incarna l’ambiguità costante del gioco: Hinako sta trovando la libertà o la sta perdendo del tutto? L’uso di Inari radica l’orrore in un contesto culturale profondamente giapponese, pur riecheggiando i temi universali del franchise: colpa, repressione, paura. (E qui ho finalmente capito che il giocatore medio casual è incapace di comprendere una storia un po’ più profonda, e preferisce urlare un “gne gne non è Silent Hill gne gne”.)


Graficamente, Silent Hill F è sbalorditivo. Gli ambienti sono immersi in una bellezza inquietante: decadenti cittadine rurali invase da fioriture fungine cremisi, corridoi scolastici che si trasformano in tunnel soffocanti di radici e petali, santuari — inclusi i punti di salvataggio — che pulsano di venerazione spirituale e terrore. Il tutto in un’inquietante danza di luci e ombre.
Il design visivo è costantemente sorprendente, regalando alcune delle ambientazioni più memorabili dell’intera saga. Una menzione speciale va alla funzione diario, che ci permette di entrare nei pensieri di Hinako attraverso testi scritti. Gli schizzi di mostri, personaggi e luoghi consolidano la cura e l’impegno profusi dal team nello sviluppo dell’interfaccia utente.


La colonna sonora di Akira Yamaoka per il “mondo reale” è un trionfo. Rimane il cuore pulsante di Silent Hill, intrecciando strumenti tradizionali giapponesi con paesaggi sonori industriali e disturbanti, come i fan si aspettano.
La composizione di Kensuke Inage per l’Altromondo è altrettanto riuscita, affiancata da Dai e Xaki, già collaboratori dello scrittore Ryukishi07. La musica oscilla da lugubre a soffocante in un attimo, riflettendo la discesa di Hinako in un mondo in cui anche la quiete è inquietante.


Il gameplay è, al tempo stesso, un punto di forza e una fonte di frustrazione. Le prime sezioni puntano su esplorazione, enigmi e furtività — elementi perfettamente in linea con le radici della serie. Hinako, inizialmente, non è una combattente, ma una ragazza vulnerabile e maltrattata: la sua limitata capacità offensiva viene sfruttata per generare tensione. Anche gli enigmi sono ben congegnati.
Purtroppo, l’ultimo quarto del gioco perde parte di questo equilibrio. Gli scontri diventano frequenti, spesso in spazi angusti, con poco margine di manovra. L’atmosfera cede il passo a sfide di combattimento che spezzano il ritmo riflessivo iniziale. Inoltre, la scarsità di oggetti curativi rende queste sezioni più un logorante esercizio di tentativi ed errori che una vera esperienza survival.
Le boss fight hanno già attirato paragoni con i Soulslike, e non è difficile capire perché: schivate precise, attacchi punitivi, pattern da decifrare. Ma attenzione: questo non è un Soulslike. I boss sono impegnativi, sì, ma molto più indulgenti. Sono pensati per creare spettacolo e tensione, non per richiedere centinaia di tentativi.


Uno degli aspetti più riusciti di Silent Hill F è la sua rigiocabilità. Il gioco offre cinque finali distinti, ciascuno frutto di scelte e interpretazioni diverse del viaggio di Hinako. Non si tratta di semplici variazioni cosmetiche: ogni finale riformula la narrazione in modo significativo, offrendo un forte incentivo a rigiocare. Silent Hill ha sempre prosperato sull’ambiguità, e questo capitolo onora quella tradizione, offrendo molteplici prospettive sul destino della protagonista.


Alcuni fan si chiederanno perché Silent Hill F non sia Silent Hill 5. La risposta è chiara dopo averlo completato: pur condividendo il DNA del franchise — traumi, orrore soprannaturale, simbolismo psicologico — questo capitolo è una creatura a sé. Ambientato in Giappone, incentrato tanto sul folklore quanto sulla psiche, F è un ramo collaterale del mito di Silent Hill, non una sua prosecuzione diretta. E non è un difetto: è ciò che gli permette di avere una propria identità, pur rendendo omaggio al passato.


Hinako è una rivelazione. In un genere spesso popolato da avatar silenziosi o sopravvissuti segnati dal tempo, lei è profondamente umana, vulnerabile e, infine, resiliente. Le sue lotte contro gli abusi, la famiglia e la ricerca di identità ancorano l’orrore soprannaturale a una realtà dolorosa. Alla fine del gioco, per me, si è guadagnata un posto tra i protagonisti più memorabili dell’horror.


Silent Hill F non è un gioco perfetto, ma è una degna aggiunta a uno dei franchise horror più leggendari del gaming. Con la sua narrativa inquietante scritta da Ryukishi07, la grafica mozzafiato, l’indimenticabile colonna sonora di Yamaoka e i temi potenti, rimane a lungo impresso nella memoria dopo i titoli di coda. Nonostante un atto finale eccessivamente incentrato sul combattimento, è un passo avanti audace e meraviglioso per Silent Hill.
9/10