Possono sfiorarmi quanto vogliono –
al massimo, mi accendono.

Possono bussare alla mia quiete,
disturbarla, se nella loro non c’è alcun silenzio.
Ma così facendo,
non faranno che specchiarsi
nella crepa della maschera che portano –
una crepa che neppure loro osano guardare.

Io, intanto,
sto imparando l’arte del trasformare:
ogni dolore in radice,
ogni ferita in seme.
E ogni volta che qualcuno arriva,
pianto qualcosa nel mio giardino.

Così il mio giardino sarà sempre pronto a:
essere visto
nella sua verità,
essere ascoltato
con rispetto,
essere donatore
di ciò che ho coltivato dentro me.

E offrirà fiori,
che un tempo furono rabbia.
Petali,
che un tempo furono pianto.